(don’t) I wish I knew how… to break the spell

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In “Baby it’s cold outside” Bing Crosby cantava, insieme a Doris Day, “I wish I knew how… to break the spell.”  “Vorrei conoscere come… rompere l’incantesimo.” Il sottoscritto si è permesso di aggiungere una personalissima negazione al verso cantato, perchè di rompere l’incantesimo non ne vuole proprio sapere. La felicità in cui mi sto cullando da un periodo a questa parte, scaturisce da una piccola billiard dalle forme più longilinee e slanciate, uno shape elegantissimo ribattezzato Bing Crosby. La particolarità di questa, a cui dedico l’articolo, sta nel fatto di essere uscita dalle mani di Bruto Sordini, in arte Don Carlos, pipemaker del quale ammiro le opere da tempo.

Facendo un po’ il punto sullo stile di Bruto, le sue forme mi sono spesso sovvenute alla mente per la propria rigogliosità : la maggior parte delle pipe firmate Don Carlos che ho incontrato si distinguono proprio per l’abbondanza e l’estrosità delle forme. Penso che il Nostro sia la vera linea temporale che va dalla passata produzione pesarese a quella odierna nel suo profilo migliore : un mix di estrosità, genio creativo e classicismo. Come dicevo poc’anzi, le Don Carlos le ho sempre immaginate abbastanza abbondanti, opulente nel senso più nobile del termine. Questo fino a quando sul mio percorso pipico non ho incrociato lei, una Bing Crosby con la chiave di violino… fu un fulmine a ciel sereno che mi colpì rapido e forte. La presi senza battere ciglio. La pipa presenta una rusticatura tinta di nero : elegante ma con brio, sbarazzina nella sua eleganza e formalità. Classicissima con un tocco di vivacità. Ah, ma quant’è cosa dura alle volte, difendere questa finitura dalle più complesse sabbiate e lisce…

Le rusticate, quelle pipe che non volano mai alte nelle gradazioni, delle quali difficilmente si cantano le lodi della finitura eppure questa lavorazione che non mostra ammalianti bassorilievi, ipnotici occhi di pernice o fiamme vertiginose, ha una sua squisita natura artigianale : la pipa viene sgorbiata, a mano e punto per punto, con i più svariati mezzi. Spesso usando una specie di punteruolo a quattro punte, si incide la superficie della radica, et voilà, le jeux sont faits. L’idea che Bruto, o il suo mastro rusticatore, abbiano realizzato ogni piccola sgorbiatura con le loro sapienti mani, sull’ottima radica, incidendo la superficie di una pipa a me destinata mi fa impazzire, non fosse altro che per gratitudine. Ed infatti, sulla radica del Maestro Sordini, c’è poco da aggiungere. In un’intervista rilasciata a Gusto Tabacco riguardo la stagionatura della radica e dell’utilità del rodaggio, ha detto : “A chi compra le mie pipe dico proprio : il rodaggio non lo fate”, alludendo all’ottima qualità e stagionatura della radica che lavora. Ma c’è di più della troppo spesso ignorata finitura e dell’alta qualità del legno : ci sono la mano, la mente, i dettagli. La pipa è realizzata con una precisione delle linee stupefacente, interpretando uno shape come meglio non si potrebbe. Il bocchino in metacrilato non ha neanche lontanamente alcunchè di “plasticoso”. E’ di una solidità rasserenante, tagliato molto bene e arricchito con la chiave di violino a simbolo che è pazzescamente bella, un dettaglio finissimo. A completare il tutto una vera in argento molto fine, che dona eleganza là dove in partenza non mancava di certo, ma che comunque ne esalta il carattere. Rimirandola e fumandola, gentile nella mano, non posso che provare gioia e ammirazione. La radica dopo le prime tre o quattro fumate ha cominciato a cantare, il che si traduce in momenti indimenticabili. Con le EM ed in special modo con l’Early Morning  questa pipa è capace di portare nell’Olimpo della sensazione il sottoscritto, farlo volare davvero sulle note di una qualche canzone….

Gia, perchè credo che il Maestro mentre era all’opera non abbia messo su un disco di musica classica. In questa pipa non c’è la rigidità teutonica di un Wagner, la teatralità di Puccini o il classicismo di Beethoven : vi è quell’insieme musicale degli States a cavallo tra i ’30 e i ’50, quello stile elegante ma vivace, classico ma sbarazzino fatto di canzoni passionali ed energici balli. E quella pipa, che ad immaginarsela, sarebbe stata giusta in situazioni in cui era richiesta una certa eleganza, ma altrettanto giusta se con una giacca e un borsalino – magari con un biglietto del treno nella fascia- si ascoltava in un piccolo locale un’orchestrina Jazz a colpi di Gin. Oh New York, New York… Sta in questo l’essenza e l’anima di questa pipa, e il Maestro l’ha interpretata grandiosamente, ripescando nel tempo l’incantesimo di un’America che per certi versi non c’è più.

I misteri del Forte

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Esistono confronti capaci di allertare, capaci di spalancare nella mente brecce aperte con spari di cannone : sono quegli scambi di vedute che avvengono con persone che pur non conoscendo personalmente, si è certi di quello che dicono. Ci si fida dell’esperienza, del palato, della conoscenza dell’interlocutore, il quale rispetto al sottoscritto, appoggia con disinvoltura sul tavolo della discussione, il proprio pesante e al tempo stesso soave empirismo.  E se parliamo di tabacco, l’esperienza la fa padrona. Dopo questo breve intro riflessivo, partiamo dall’inizio….

La Compagnia del tabacco, forum a cui prendo parte, è il principio di questa riflessione. Nella sua sezione dedicata alle fumate “in tempo reale”, una di Lakeland Dark (ottima produzione Samuel Gawith con Kentucky), mi fece venir voglia di un certo gusto kentuckiano… quel gusto che al sottoscritto ( a torto o meno) spesso fa approdare al trinciato nostrano “Forte”, produzione MST ufficialmente a base di tale varietà. Ebbene, armato di pipa, tabacco e “macchinetta” digitale, condivisi quella mia scanzonata fumata di Forte nella sezione del forum. Fin qui tutto liscio, niente di nuovo sul fronte orientale. Spesso, però, la tranquillità è cosa che vien meno in un battibaleno. Infatti la sicurezza assoluta, garantita dalla MST, che nel mio fornello stesse bruciando Kentucky e solo quello fu vigorosamente danneggiata… Ed eccolo, il colpo di mortaio che sparato dall’altra e apparentemente tranquilla parte della trincea, è atterrato direttamente sul quartier generale, sulla mia certezza :

“Ragazzi, fumatevi pure il Forte, ma non vi illudete che la sua base sia Kentucky. Quelle, sono altra cosa.”

Il soldato stordito dallo scoppio si alza tremante sulle proprie gambe, chiedendosi cosa mai fosse accaduto così all’improvviso, cercando di capire come una così sicura e apparentemente solida postazione sia stata colpita con così tanta facilità. Tuttavia il milite, che con qualche minuto in più ha realizzato, vede in fondo al fumo dello scoppio un barlume di positività :

“Cosa ci sia nel Forte non è dato sapere, tuttavia da esperienze, ricerche, gustazioni, comparazioni, a mio dire qualche discrepanza c’è. Posso ipotizzare, che magari, alla sua base ci sia del Burley o dell’Italian Badischer Geudertheimer e che al Kentucky è stato affidato il ruolo di condimento”.

Ovviamente l’ipotesi era stata abbondantemente supportata, non ultimo da una tabella additivi molto interessante che potete trovare qui, ma anche da un ragionamento fatto a partire dall’utilizzo del nostro buon nazionale nelle cartine, che potrebbe non fare una piega. Inoltre, nessuno e men che meno il sottoscritto è mai caduto nella titanica illusione che il Forte sia ancora quello puro di un tempo… quello di cui i vecchi vanno ancora narrando la erculea forza e l’indomita natura tabagica. Il mondo cambia, e certamente allo stesso modo la composizione del Forte. Chi fumerebbe oggi, un tabacco sporco e sgorbutico come quello che fu il vero trinciato del popolo di un tempo? Mah, forse nessuno…. e il ragionamento fila, ed anche troppo. Ma va bene così, perchè un qualcosa il Forte conserva ancora della sua originaria natura : quella essenza  selvatica e refrattaria che, nonostante la variazione della sua nativa composizione, riesce ancora a vantare nel mondo di oggi. E proprio adesso che con la mia System Deluxe lo sto degustando me ne rendo conto. Quale altro tabacco riesce ad avere questo carattere…. questi spigoli, questa forza che più che nella nicotina sta nel suo sapore? Lo si voglia o no, credo che il Forte sia ancora lo sgorbutico trinciato del popolo, ma di un popolo diverso : quello del XXI secolo. Quello invischiato in una modernità monotona, un popolo che non tira più la zappa, ma che sempre popolo rimane, in una nuova composizione sociale che lo relega sempre e comunque al proprio, forse, perpetuo posto. 

Adesso per il sottoscritto il Forte è un mistero. Così come lo è stato per il soldato, reduce dallo scoppio, la dinamica del colpo inferto. Ma entrambi sappiamo cosa fare. Io continuerò a fumarlo, godendo di quelle sensazioni e di quel gusto di cui il buon trinciato è capace, mentre il soldato continuerà a vendere cara la pelle maledicendo la guerra e la sua errabonda natura.

In fondo è così, è anche materia di sensazione il tabacco, e tutto può venir meno a patto che essa rimanga a vivere nella combustione. Il Forte continua a farla vivere nella propria.