Peccati rustici

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Il peccato che si consuma in una Castello “Castello” KK …

«Il piacere è peccato e il peccato è un piacere»

Byron

Per quanto fumare il toscano nel fornello della pipa possa apparire come una pratica «barbara», in special modo quando si hanno a disposizione prodotti di eccellenza come il «Mastro Tornabuoni Long» nella foto, o quel che che ne resta di una delizia dal ripieno long filler che a parere di chi scrive è una sorta di materializzazione in materia di sigaro toscano di ciò che il vecchio Platone attribuiva presente nell’Iperuranio, e per quanto la complessità degli aromi viene fatalmente disfatta con l’operazione — questa si un poco «mongola»— dello sbriciolamento a mano, chi scrive — forse come lo era per il vecchio Attila il desiderio flagellatore — è un qualcosa che trova irresistibile. Se colui che legge — veneratore della sacralità del bitroncoconico — dovesse trovare tale pratica pregna dell’atmosfera che è possibile immaginare durante la caduta di Aquileia e giungesse ad accusare tale operazione di flagellum Dei, e tutti coloro che la praticano dei mezzi cannibali, potrebbe trovare senza dubbio da parte di chi scrive umana comprensione. Se della pipa e del suo fumare il sottoscritto ne ha fatto umilmente materia di cui scrivere, ragionare, sperimentare quel poco che gli è spiritualmente concesso — che in fin dei conti in tema di usi pipici è piuttosto reazionario, almeno quanto un Kaiser a vostra scelta… — del toscano «developed in CTS» ne ha fatto da lungo tempo un piacere quotidiano, o quasi. Abbandonarsi ad un intero Long — del resto più che ottimo anche ammezzato rappresenta nelle fumate di chi scrive un piacere unico, luminoso quanto poteva esserlo una danza dionisica, benché disfarsi delle sirene della barbarie di cui appena sopra — non tutti hanno la fortuna di scongiurare il pericolo facendosi legare da qualche parte — gli rimane operazione piuttosto complicata. Se piace il Kentucky italiano nella pipa, se le cimette anch’esse prodotte in casa CTS sono riuscite nell’intento di smuovere qualcosa nella coscienza di colui che fuma, se i rustici piaceri di una fumata scomposta e spigolosa giungono ad essere percepiti come tali, allora difficilmente si troverà la forza di resistere alla tentazione di radere al suolo il sacro monumento. Con tutto quello che di buono è possibile trovare, persino nell’italica valle di lacrime del commercio di tabacco da pipa, e con dei toscani tanto buoni quanto fedeli alla memoria ancestrale di questo genere di sigaro, perché ridursi a commettere sacrilegio, che anche in compagnia del buon Ramazzotti comunque si rischia di ritrovarsi sul banco degli imputati? Se ne potrebbe, oggigiorno, fare volentieri a meno? Probabilmente si. Ma alcuni hanno la testa dura. Oppure sono deboli di spirito, poveri peccatori che non resistono alle gioie di assaporare il vizio nelle mille sfumature con le quali tenta l’animo umano, con la mezza certezza di ritrovarsi sotto la pioggia infernale alla stregua di Ciacco : chi scrive, probabilmente, potrebbe ritrovarsi con la groppa bagnata e magari anche calpestato da qualche padre delle future patrie, ammesso che ve ne saranno. Eppure, coscientemente, quella piccola delizia che — strutturalmente parlando — fa del non avere né capo né coda la materializzazione tabagica del gusto della trasgressione e dell’empietà del sacrilegio, mi risulta irrinunciabile. Tante volte, animato da propositi virtuosi, mettendo mano alle scatole da due del Long mi sono ripromesso di non cadere in tentazione, di cercare di non brutalizzarne almeno una, di non sbriciolare nemmeno un «ammezzato», di scacciare i cattivi pensieri prima di dover ricorrere al cilicio o ad una moderna imitazione del Flagrum romano : ma niente. E prima di dovermi vedere costretto a rimediare un qualche arnese del genere, con un raggiro da sofista, mi sono detto che in fin dei conti la carne è carne, e va bene così. Cosa c’è di tanto delizioso in un «Mastro Tornabuoni» qualsiasi fumato nella pipa? Probabilmente il tabacco così com’è. Niente di più e niente di meno : buon Kentucky da utilizzare nella pipa. Non è un’operazione giustificabile come quando si miscela con il Virginia, non è per nulla pregno di quella complessità natìa di quando fu fatto sigaro, ma è buono in modo diverso. È buono perché — l’amante del genere — vi troverà un gusto talmente prorompente quanto estremamente appagante nonché privo di ogni carezza rasserenante, come la foga di un fiume in piena che si naviga per il piacere pericoloso di farlo, pari all’apertura della via più impervia e claustrofobica per raggiungere la vetta di un monte. Una sorta di «Monte Analogo» del Kentucky italiano in generale, un tipo di tentativo per liberarsi dalla angustia concettuale che il tabacco da pipa si mette nella pipa e il sigaro si fuma tale quale, un tentativo di spezzare l’ordinario. Vi si può ragionare come il sottoscritto e fumarlo coscienti che si è sacrificato sull’altare della golosità tabagica il senso del fumare il toscano, lo si può fumare per il piacere sadico di sentirselo rompere tra le mani, scricchiolando. Lo si può fumare perché è giunto il caldo dell’inferno, perché sono finite le cimette e in paese non le vendono — a differenza dei sigari —, per avere il gusto di celebrare Ramazzotti, magari con libro alla mano. Le motivazioni non mancano, e dopotutto, qualche giustificazione viene anche da sè.

Forte; Blend con foglie apicali di Kentucky Toscano

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Non sono mai stato più critico, in materia tabagica, riguardo allo snaturamento di un trinciato come il Forte. A questo trinciato, o meglio a quello dei tempi che furono, troppo mi lega. Il gusto, il ricordo, l’inizio e lo sviluppo dell’esperienza pipica, in qualche modo tutto quello che ha avuto a che fare con le pipe e il lento fumo mi porta a considerare il Forte come perno intorno al quale ruotò  il mio battesimo di pipatore. Il Forte di un tempo, fu insieme, prete e acquasanta : molto della mia personale iniziazione al lento fumo la devo all’aroma di questo povero e ricco allo stesso tempo, trinciato popolare.

Dopo una snaturazione troppo evidente per essere sopportata perfino dall’insensibile ragione del marketing, il Forte è tornato “fumabile”. Ma tra il “fumabile” ed il trinciato pieno di carattere quale era, troppo ancora ci passa. Da inguaribile fumatore da marciapiede, dal Forte continuo ad aspettarmi molto di più.

Ma veniamo al dunque. Il Forte è migliorato, e dati i tempi che corrono voglio essere ragionevole nei limiti che me lo consentono. Si lascia fumare, risulta gradevole e tutto sommato non è così male. Ma sempre di altro si parla, ovvero di una peculiarità persa. Di trinciati popolari assimilabili a questa nuova versione del Forte, ahimè, ce ne sono. Ci si muove su un terreno che non fu mai battuto dal trinciato che fu, in particolare alcuni sentori orientaleggianti di base al posto della zaffata terrosa della vecchia e classica composizione. E’ un fattore di gusto, stimola ad altre percezioni di per sè estranee e assimilabili a trinciati come l’Allegro, che non hanno mai fatto mistero di essere trinciati che inseguono altre e diverse mete. Il Kentucky della pomposa dicitura in busta c’è, non so in quali proporzioni, le quali non credo affatto alte. Lascia in fumata un lieve sentore legnoso, ma si perde facilmente nelle vampate orientaleggianti, che un po’ mi disturbano e che presentano una persistenza se non proprio elevata, quantomeno più che costante.

Si fuma e si tira avanti. Ma se si fosse chiamato in un altro modo, ne sarei stato più felice. Una conclusione che resta tale. Senza aggettivi a rimarcare, e senza lode.

Nota aggiunta : nonostante tutto, si presta bene però a contaminazioni interessanti. Ne parlerò in seguito.

 

Oltreconfine : G.L. Pease Cumberland

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Gregory Pease non  ha certo bisogno di presentazioni, benché meno di quella di un fumatore abbastanza provinciale ( ma in lenta via di “sprovincializzazione”) come il sottoscritto. Giri e intrighi di amici viaggiatori, mi permettono ( non senza incomprensioni e sbagli ) di riuscire a mettere le zampe, di tanto in tanto, su qualche nettare non importato in Italia e reperibile solo in note terre straniere.

Tra i miei desideri vi era il Cumberland di Pease. Non nego di trovarmi in difficoltà nel recensire un prodotto del genere, in quanto è molto lontano rispetto a quello che è possibile reperire in Italia : non per la qualità, perchè di tabacchi di innegabile qualità ce ne sono, tuttavia per la sua natura. Questa è la differenza, a mio parere, tra quelli reperibili in Italia (inglesi in primis) e i nettari americani che si spera arrivino un giorno….

Questo Cumberland  è superlativamente americano : a partire già dalla diversità del blend! Una base di maturi Virginia rossi arricchiti con del Kentucky ( chissà se la partita sia ancora quella invecchiata di venti anni o altro) e aggiunta di Perique…

Regala fumate fantastiche, rotonde e molto confortevoli: quasi avesse la capacità di cullarci. Di facile combustione, riesce ad esprimere al meglio la propria carica aromatica. I Virginia offrono una suntuosa  base alle note tostate tipiche del Kentucky e allo speziato del Perique. La fumata scorre semplice ed intuitiva, caratterizzandosi lungo tutto il suo percorso di una variazione tematica che ha ben pochi concorrenti : si vola sulle note del Virginia, del Kentucky e del Perique come se si venisse avvolti da un delicato ciclone… Tabacco esclusivamente da meditazione, di forza media e molto corposo questo Cumberland riesce ad esprimere al meglio le suggestioni paesaggistiche e territoriali americane : non è la prima volta che paragono un tabacco alle suggestioni che sono capaci di provocare i paesaggi… e fermandomi a riflettere, penso che il Cumberland altro non sia che dolce suggestione. Non c’è altro da aggiungere, in quanto questo per me è il Cumberland di G.L.Pease…

Forte : Adieu, mon bon ami

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Sono stato un fumatore fortunato ed inconsapevole. Fortunato perchè, del Vecchio Forte, quello dal taglio fino-fino, di colore marrone scuro ne ho fumato a bizzeffe. Amandolo. Inconsapevole perchè, di tutto il Forte che per quasi due anni ho fumato, mi ero ritrovato ad incappare in vecchie scorte che stavano lì sugli scaffali delle tabaccherie di paese ad aspettarmi. Invendute. La nuova edizione, quella moderna e finale (almeno per ora…) del Vecchio Forte non ha niente. Nè il tabacco, nè il taglio, nè il colore. Perfino all’inizio del cambio di busta, il Forte rimase, salvo piccole sfumature (per altro gradite) quello di sempre.

Tutti gli articoli che fino a questa pubblicazione ho scritto sull’argomento parlano della vecchia edizione, ormai quasi del tutto scomparsa. A fortuna si riesce a trovarne di qualche vecchia busta… ma ancora per poco sarà così. Ed è un vero peccato, sinceramente. Un grande delitto si è consumato. Ne I misteri del Forte scrissi che la nuova edizione, quella con la busta nuova, era gradevole tutto sommato quanto la vecchia. Beh, non avevo ancora avuto modo di provare, fortunatamente, la vera e definitiva “nuova versione”.

Un Forte che non è, a dispetto del buon nome, “forte” per niente. Adieu, mon bon ami.

It’s not for gentlemen : SG 1792 Flake

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L’Inghilterra e la pipa. Spesso binomio di eleganza, di delicatezza, di profumazioni latakiose ed armoniose. English Mixture, già solo la sonorità linguistica del concetto ci lascia immaginare un mondo in cui fumare è sinonimo di eleganza, di raffinatezza e di buon gusto. Il giusto, senza andare oltre. Il giusto senza essere eccessivi. Già, ma l’Inghilterra non è solo questo…. Infatti, la nazione famosa per la monarchia, il colonialismo e la raffinatezza dei costumi presenta un lato della medaglia che, in qualche modo, ci dà la possibilità di osservarla (e di comprenderla) da un punto di vista totalmente capovolto : quello della working class. Storicamente, per l’appunto, l’Inghilterra con la sua rivoluzione industriale è stata la culla dello sviluppo del proletariato come classe moderna. E su questo non ci piove.

Nell’era moderna ed ultra-liberista, il fumatore di pipa è costretto a riflettere sulla discendenza dei vari blend e delle varie composizioni che allietano (e a volte inquietano) la propria giornata. Quando incominciai a decifrare questo flake Samuel Gawith, la mente entrò in modalità “macchina del tempo”. Eh si, perchè non può essere altrimenti. C’è in tutto questo tabacco un “lato cattivo”. Il lato cattivo di una nazione, il ghigno minaccioso di una natura contro un’altra. Potrei dire che esistono davvero un Dr. Jekill ed un Mister Hyde, all’interno della produzione tabagica inglese. Due punti così distanti, così antitetici che quasi potremmo asserire la totale mancanza di legami tra essi. Invece, ci ritroviamo ad avere a che fare, con delle realtà che condividono addirittura lo stesso grembo materno.

Per quanto riguarda il sottoscritto, sono stato conquistato da questo lato oscuro. Non me ne vogliano i cultori delle English Mixtures se ho preferito visitare l’Inghilterra tabagica seguendo il piano inclinato dei moderni epigoni di quelli che un tempo furono, fuoco quotidiano, nelle povere pipe sporche di sudore e di carbone.

Ma passiamo a questo 1792 Flake. Composizione classicamente tosta : Virginia e Kentucky. Aroma altrettanto caratteristico : fava di Tonka. Samuel Gawith nel suo lato più selvaggio. Aperta la tin, il taglio non “delude mai”. Fette tagliate molto alla mano, abbastanza spesse. Si sudano sette camicie per ricavarne i bei filamenti con cui adoro sfilacciare un pressato. Ma tutto sommato, se un taglio del genere può essere sopportato, niente di più azzeccato che sul 1792! Al naso si avverte distintamente una profumazione tipica dei Virginia di questa categoria. Inconfondibile il mandorlato della fava, mi lascia credere che su questo flake ci vadano un po’ pesante con l’aroma….ma è  giusto così. Non deve rendere conto a nessuno. Le sensazioni olfattive lasciano immaginare, ampiamente, come sarà in fumata.

Dopo averlo sfilacciato per bene, meglio lasciarlo un po’ arieggiare. Passaggio che giova decisamente al tabacco in fumata. L’accensione non è così immediata. Qualche fiammifero in più d’obbligo, così come un lento e parsimonioso lavoro di pigino  permettono a questo rude flake di avviarsi pian piano. Dopo un ingresso amarognolo, a tratti leggermente invadente e dopo essere riusciti ad assestarlo un poco (sia ben chiaro che il diavolo non è brutto come lo si dipinge), è capace di trasportarci lentamente all’interno del suo mondo tonkato. Si alternano a questo punto passaggi mandorlati, floreali e forse leggermente alcolici. A tratti emerge distintamente una nota che ricorda il Kentucky, per poi perdersi, quasi come miraggio nell’insieme del Virginia e del complesso aromatico. Il gusto è pieno, rotondo ed intenso, anche se non manca di spigoli e di punte. La carica nicotinica è alta, direi molto soddisfacente. Per palati e stomaci che di questo vanno alla ricerca.

Sicuramente un tabacco non per tutti, anzi, azzerderei per alcuni. Non è il Lakeland, nè tantomeno il Dark Flake… e neanche ha molta affinità con altri nettari del genere. Tuttavia è fantastico, una tempesta a ciel sereno anche per chi predilige il lato “strong” dei tabacchi inglesi.

 

Sulla via del Kentucky : Cimette Mastro Tornabuoni

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“E’ come fumare in un Western…”

Per gli amanti del Kentucky in pipa, un prodotto come le Cimette Mastro Tornabuoni stanno rappresentando uno dei più felici mari nei quali naufragare. Detto così, può sembrare eccessivamente ottimistico, il discorso. Tuttavia, il prodotto in questione, a parere di chi scrive ha un suo fascino difficile da contestare : quello di un tabacco alla vista sì difficile, con il quale è possibile interagire in maniera unica e sublime. Potrei dire che le Cimette MTB, non si fumano. Si vivono. Per una serie di ragioni… Aperta la scatola, quello che si ha davanti è da decifrare. Per i novelli fumatori come me, il tutto rappresenta una prova. Che farne, di queste Cimette? Troppo scontato sarebbe il “forse fumarle?”, perchè la cimetta va preparata. Non fa dell’immediatezza una sua caratteristica, tutt’altro, fa della pazienza e della preparazione che ne consegue la condizione necessaria a goderne appieno delle proprie grazie.

Le Cimette, non subiscono le fermentazioni a cui va incontro il sigaro spuntato e di conseguenza la loro carica batterica rimane inalterata, la quale innesca a seguito di un bagnamento casalingo che sta al fumatore fare, la fermentazione necessaria ad arrotondarne il gusto. L’operazione, a mio parere, è d’obbligo. A tal proposito rimando ad un ottimo articolo su Gusto Tabacco nel quale questo processo viene professionalmente trattato. Una volta che abbiamo terminato l’operazione e riposti gli oggetti utili alla stessa, lasciamo che le Cimette, rese ad una pezzatura che più si avvicina alle nostre abitudini, raggiungano il tasso di umidità accettabile per essere consumate. A seguito di questo processo tabagico, possiamo finalmente goderci la nostra fumata. Ma ancor prima della stessa abbiamo avuto il piacere di viverlo il tabacco, di renderlo migliore con le nostre mani, effettuando passaggi e regalandogli il taglio che andrà ad acquisire al fine di essere caricato nel fornello…. Abbiamo vissuto attraverso di esso.

In fumata.

Premetto che sono un amante dei sapori forti e che le Cimette sono un prodotto che si avvicina molto a quello che cerco quando avvicino la fiamma alla pipa. Abbiamo davanti un ottimo Kentucky. A Cimette umidificate, il gusto forte,morbido e rotondo è la prima cosa che colpisce di questo tabacco. Anni luce di distanza da un paio di Cimette caricate a secco, che invece colpiscono per l’acredine di un Kentucky non fermentato. Come dicevo, la forza unita ad una morbidezza rilassante accompagna la fumata. E’ un Kentucky distintamente aromatico, nel senso che gli aromi di questa particolare tipologia di tabacco fuoriescono nella maniera più chiara che mi sia capitato di assaporare. Un torbato persistente, uno speziato molto gradevole e il tipico gusto amaro che fa da contorno. E’ un susseguirsi di aromi, di forza e di piacere. Ovviamente è un tabacco ricco di nicotina, magari non per tutti, ma per gli amanti del genere queste Cimette sono semplicemente eccezionali.

Un ottimo prodotto, e chi se ne infischia se il prezzo è un tanto altino ( a causa del fatto che vengono catalogate come tabacco da pipa). Godere della rilassante preparazione e delle ottime fumate che ne conseguono non ha prezzo…

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I misteri del Forte

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Esistono confronti capaci di allertare, capaci di spalancare nella mente brecce aperte con spari di cannone : sono quegli scambi di vedute che avvengono con persone che pur non conoscendo personalmente, si è certi di quello che dicono. Ci si fida dell’esperienza, del palato, della conoscenza dell’interlocutore, il quale rispetto al sottoscritto, appoggia con disinvoltura sul tavolo della discussione, il proprio pesante e al tempo stesso soave empirismo.  E se parliamo di tabacco, l’esperienza la fa padrona. Dopo questo breve intro riflessivo, partiamo dall’inizio….

La Compagnia del tabacco, forum a cui prendo parte, è il principio di questa riflessione. Nella sua sezione dedicata alle fumate “in tempo reale”, una di Lakeland Dark (ottima produzione Samuel Gawith con Kentucky), mi fece venir voglia di un certo gusto kentuckiano… quel gusto che al sottoscritto ( a torto o meno) spesso fa approdare al trinciato nostrano “Forte”, produzione MST ufficialmente a base di tale varietà. Ebbene, armato di pipa, tabacco e “macchinetta” digitale, condivisi quella mia scanzonata fumata di Forte nella sezione del forum. Fin qui tutto liscio, niente di nuovo sul fronte orientale. Spesso, però, la tranquillità è cosa che vien meno in un battibaleno. Infatti la sicurezza assoluta, garantita dalla MST, che nel mio fornello stesse bruciando Kentucky e solo quello fu vigorosamente danneggiata… Ed eccolo, il colpo di mortaio che sparato dall’altra e apparentemente tranquilla parte della trincea, è atterrato direttamente sul quartier generale, sulla mia certezza :

“Ragazzi, fumatevi pure il Forte, ma non vi illudete che la sua base sia Kentucky. Quelle, sono altra cosa.”

Il soldato stordito dallo scoppio si alza tremante sulle proprie gambe, chiedendosi cosa mai fosse accaduto così all’improvviso, cercando di capire come una così sicura e apparentemente solida postazione sia stata colpita con così tanta facilità. Tuttavia il milite, che con qualche minuto in più ha realizzato, vede in fondo al fumo dello scoppio un barlume di positività :

“Cosa ci sia nel Forte non è dato sapere, tuttavia da esperienze, ricerche, gustazioni, comparazioni, a mio dire qualche discrepanza c’è. Posso ipotizzare, che magari, alla sua base ci sia del Burley o dell’Italian Badischer Geudertheimer e che al Kentucky è stato affidato il ruolo di condimento”.

Ovviamente l’ipotesi era stata abbondantemente supportata, non ultimo da una tabella additivi molto interessante che potete trovare qui, ma anche da un ragionamento fatto a partire dall’utilizzo del nostro buon nazionale nelle cartine, che potrebbe non fare una piega. Inoltre, nessuno e men che meno il sottoscritto è mai caduto nella titanica illusione che il Forte sia ancora quello puro di un tempo… quello di cui i vecchi vanno ancora narrando la erculea forza e l’indomita natura tabagica. Il mondo cambia, e certamente allo stesso modo la composizione del Forte. Chi fumerebbe oggi, un tabacco sporco e sgorbutico come quello che fu il vero trinciato del popolo di un tempo? Mah, forse nessuno…. e il ragionamento fila, ed anche troppo. Ma va bene così, perchè un qualcosa il Forte conserva ancora della sua originaria natura : quella essenza  selvatica e refrattaria che, nonostante la variazione della sua nativa composizione, riesce ancora a vantare nel mondo di oggi. E proprio adesso che con la mia System Deluxe lo sto degustando me ne rendo conto. Quale altro tabacco riesce ad avere questo carattere…. questi spigoli, questa forza che più che nella nicotina sta nel suo sapore? Lo si voglia o no, credo che il Forte sia ancora lo sgorbutico trinciato del popolo, ma di un popolo diverso : quello del XXI secolo. Quello invischiato in una modernità monotona, un popolo che non tira più la zappa, ma che sempre popolo rimane, in una nuova composizione sociale che lo relega sempre e comunque al proprio, forse, perpetuo posto. 

Adesso per il sottoscritto il Forte è un mistero. Così come lo è stato per il soldato, reduce dallo scoppio, la dinamica del colpo inferto. Ma entrambi sappiamo cosa fare. Io continuerò a fumarlo, godendo di quelle sensazioni e di quel gusto di cui il buon trinciato è capace, mentre il soldato continuerà a vendere cara la pelle maledicendo la guerra e la sua errabonda natura.

In fondo è così, è anche materia di sensazione il tabacco, e tutto può venir meno a patto che essa rimanga a vivere nella combustione. Il Forte continua a farla vivere nella propria.

Samuel Gawith Lakeland Dark

 

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Denominazione : Lakeland Dark

Produttore : Samuel Gawith

Contenuto : Virginia, Italian Kentucky

Confezione : tin 50gr, bulk 250gr

Prezzo : 22,00

Pipe utilizzate

Varie

 

Per questa meraviglia reperibile sul territorio nazionale un grande ringraziamento va a Mario Lubinski. A seguito della scomparsa del famigerato Brown N°4, un twist della stessa composizione, Mario ha provveduto a trovare un degno sostituto alla rimpianta treccia, scomparsa a causa dell’impennata dei prezzi dei tabacchi importati.

Il Lakeland Dark è, per me amante dei trinciati contenente Kentucky, ottimo, godibilissimo e forte. Unico. Uno di quei prodotti che elevano il Kentucky da tabacco dei poveri e senza troppe pretese a miscela complessa, ricca di sfumature, aromi e sapori. Virginia e Kentucky italiano tenuti tre ore nella pressa a vapore a calore pieno e poi pressato a freddo per qualche ora. Successivamente tagliato e inscatolato. Scuola Samuel Gawith, a mio dire una delle migliori.

All’apertura il tabacco si presenta con un forte odore, persistente e aromatico a modo suo. Le note olfattive sono quelle classiche del Kentucky, ma con più variazioni : terra, legno, cuoio. Il tutto libidicamente marcato. L’umidità, come sempre in casa Gawith c’è, fare prendere aria per benino prima di incominciare la fumata. Il taglio si presenta sotto forma di broken flake, ovvero come pezzettoni di flake spezzato molto grossolanamente. Il colore scuro è magnificenza pura.

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Il Lakeland Dark in tutta la sua maestosità, qui ne è alle prese la mia amata Aran

In fumata è un prodotto estremamente entusiasmante, la combustione parte abbastanza bene e con qualche fiammifero in più che si rende necessario. Domina l’amaro, il sapore di terra, di cuoio, di affumicato persistente. Il Virginia si percepisce e si comporta molto bene, a mio parere contribuisce non poco a donare a questa miscela una complessità che va ben oltre le apparenze. Presenta una forza nicotinica abbastanza elevata, va fumato con molta calma, boccate corte e con ritmo leggermente più lento del solito. Le riaccensioni sono necessarie, ma l’importante è goderselo, anche in barba ad una combustione che non è delle migliori.

Ultimamente lo sto fumando in fornelli più grandi. L’avevo affidato inizialmente ad una Savinelli Dry System, in questo periodo sto optando per la Peterson Aran, in cui riesco godermelo molto di più, in quanto la carica tende ad allargarsi durante la fumata. A questo punto una carica pressata pochissimo è d’obbligo, altrimenti non si va da nessuna parte. Caricato con la forza di una piuma, qualche fiammifero di troppo e pigiatine varie… è un tabacco a cui si deve star dietro, ma che ripaga fino all’ultimo grammo di attenzione che gli viene rivolto.

Voto 9,5

Trinciato Forte

FORTE
Il Forte nella confezione vecchio stile : bellissima

Denominazione : Forte – Gusto Pieno-

Produttore : Manifatture Sigaro Toscano

Composizione : Kentucky

Prezzo : 4,70

Confezione : 40 gr

Pipe utilizzate :

Varie

Il trinciato Forte costituisce, insieme al Comune e all’Italia, l’ossatura dei trinciati nazionali italiani a base di Kentucky. La confezione riporta la seguente descrizione : “Una miscela naturale dal gusto pieno a base di Kentucky italiano che si fa apprezzare per la sua robustezza e generosa intensità”.

Come per l’Italia e per il Comune, i pareri sui tabacchi naturali italiani sono molto discordanti, personalmente sono arrivato a pensare che “o si amano o si odiano”. Il Forte non fa eccezione, anzi, se con il Comune o l’Italia ci possono essere maggiori sfumature di giudizio, con il Forte si è netti : piace o non piace.

All’apertura della busta possiamo trovarlo un po’ più secco del dovuto, tuttavia non è l’umidità che caratterizza questo tipo di trinciati. Se è troppo secco no problem, si riumidifica. Nelle buste da me fumate è successo raramente. Il colore è scuro, bellissimo. Il taglio è fine e filamentoso, si carica molto facilmente. La combustione ottima. Consiglio una pressione leggermente vigorosa, dato il taglio. All’accensione (molto facile) il corpo e la forza sprigionati sono “pieni”, abbastanza forti, ma senza eccedere  ( a patto di non esagerare).

In fumata i sapori sono entusiasmanti, è uno di quei tabacchi che senza particolari evoluzioni riescono a essere sempre tra i mie preferiti. I sentori di legno, di cuoio e di terra… quell’affumicato dal gusto spiccato, l’odore penetrante…

Amo fumarlo all’aperto, durante qualche passeggiata in campagna, d’inverno e con un clima umido. Regala esperienze indimenticabili, grazie anche alla perfetta combustione che aiuta molto a passeggio. Ottimo per i rodaggi, direi perfetto.

In più è un trinciato storico, il tabacco dei nostri antenati… Un pezzo di storia, e soprattutto ha sostanza e carattere da vendere. Essenziale ed insostituibile.

Voto 8

Trinciato Italia, il sapore del bel paese

 

ITALIA

Denominazione : Italia

Produttore : Manifatture Sigaro Toscano

Composizione : Virginia, Kentucky, Orientali

Prezzo : euro 5,20

Confezione : 40 gr

Pipe utilizzate : Peterson Aran Lovat

Peterson St. Patrick’s Day

Savinelli Dry System

Ho sentito i pareri più disparati sul trinciato Italia, uno dei nostri tabacchi nazionali, anzi a mio dire il più nazionale. L’Italia rappresenta un gusto classico, un punto di riferimento essenziale per chi vuole capire i sentori tabagiferi nazionali. Molti fumatori ne danno un’immagine pestifera di tabacco infumabile se non miscelato ( un po come è per il Forte), altri ne parlano un poco meglio, altrettanti lo adorano. Io sono tra questi ultimi.

La busta riporta la seguente composizione : “Una miscela di alta qualità ottenuta da pregiati tabacchi Virginia e Kentucky, arricchiti da foglie orientali”. Beh lasciatemelo dire, una descrizione che è l’esatto equivalente del tabacco in fumata. La forza del Kentucky viene smorzata dalla dolcezza del Virginia ( attenzione, non è dolce!) e di tanto in tanto si riesce a percepire le note di profumi orientaleggianti.

All’apertura della busta non si presenta particolarmente secco, anzi il tasso di umidità a mio parere è al punto giusto. Nelle buste da me personalmente fumate non l’ho mai trovato troppo secco. Il caricamento è molto facile, non necessita di particolari attenzioni, una pressione media va benissimo. All’accensione, durante le prime boccate il trinciato colpisce immediatamente per il gusto particolare. Tra l’aspro e l’amaro, di media forza e molto accessibile alle mucose orali. La combustione è ottima, brucia con molta facilità, ma non tende a scaldare.

Avviata la fumata, l’Italia riesce a sorprendermi. Le note del Virginia e del Kentucky si fondono insieme e spesso durante l’arco della fumata, a combustione molto “fresca” gli orientali escono fuori, andando ad arricchire senza snaturare la componente maggioritaria di Virginia e Kentucky.

Indubbiamente questo trinciato ha molti pregi, tra cui la facile reperibilità (io lo trovo spesso e volentieri un po’ ovunque) e il costo contenuto. Un tabacco ottimo ed economico, e soprattutto caratteristico del nostro paese. A mio parere la dicitura “gusto classico” non fa una piega.

Buono, economico e facilmente reperibile.

Voto 6