“Ye Olde Wood”

barling pretBarling’s Make “Ye Olde Wood” T.V.F. 408 EL (pre-transition)

Il guaio di fumare nella pipa, ma anche l’intrinseco stimolo che si cela dietro questa attività, è quello di non essere solo un vizio. Se così non fosse, sarebbe tutto molto più semplice. Alle pipe ci si affeziona, entrano per necessità ― e talvolta per elezione ― nelle proprie vicende personali, le accompagnano, financo a trasmutarle come solo un oggetto della più tortuosa quotidianità sa fare. Per colui che scrive, queste, ― e in special modo nei periodi più ardui ― hanno il grande merito di regalare quel pizzico di divertimento partorendo saporiti momenti a nutrimento del proprio spirito ludico. Allorché le si gira e rigira tra le mani, mentre scorre l’alternarsi di prospettive, il gioco di luci e ombre : questo comparire di dipinti ― dagli arabeschi del cross grain ai verticali parallelismi dello straight grain ― mi rammenta soventemente che la sensibilità non è (solo) una croce da portare lungo il calvario dell’esistenza, ma anche una peculiarità deliziosamente coscienziosa che permette di assaporare piccolezze destinate altrimenti a rimanere semioticamente mute.
E tutta questa sottigliezza visiva e concettuale è la migliore cornice entro la quale presentare questa Dublin.

Il nome della famiglia Barling non è sconosciuto ― per forza di cose ― all’amante della pipa in generale, se poi si è tra quei fumatori che hanno piacere nel ritrovarsi tra le mani qualcuna di quelle vecchie glorie “made in England“, ecco allora che ritrovarsi per le mani una Barling pre-transition ― razza di pipe che le voci di corridoio che corrono tra gli appassionati ritengono eccezionali ― è indubbiamente una grande soddisfazione, specie se il tubo in questione ci perviene in condizioni eccezionali, giacché senza dubbio si parla di una manifestazione di un’altra epoca.
La pipa che si vede in foto oltretutto ― e almeno per le corde fatte vibrare al sottoscritto ― non esaurisce la sua corsa sul traguardo della rarità e dell’eccezionalità produttiva, e neanche su quello delle soddisfazioni filologiche ― materialmente tangibili ― che una pipa del genere può offrire, conto tenuto che si tratta di un importante tassello del grande puzzle storico annoverante la sublime ricerca della qualità unita alla spietata concorrenza in cui le più importanti casate angliche si trovavano (ai tempi) grandemente impegnate.

Come detto, si tratta di una Dublin (shape 408) leggerissimamente canted, quanto basta a renderla elegantissima ― sans doute con la complicità del cannello schiacciato che ho imparato ad apprezzare grazie ad una realizzazione in quel di Radice. In aggiunta ― e per nulla in secondo piano ― la qualità dell’ebanite non ha nulla da invidiare alla serafica realizzazione in materia di stems presso Dunhill : nonostante la lucidatura a motore effettuata negli anni (non parliamo di una “giovanotta”…), l’originalità del bocchino è testimoniata da alcune lettere superstiti chiaramente disposte a croce, e il dubbio ― che è sempre legittimo ― è così fugato e a proprio sostegno vi è l’opera di carteggiatura che ha dato garanzia di un materiale di indubbia qualità, resistenza e durezza : ulteriore elemento che lascia spontaneamente gioire.
Ma la gioia, se mi è concesso di definirla tale, non arresta la sua trionfale marcia giunta a questo punto. L’essenza della radica, la perfezione delle linee della testa, il taglio che mette in mostra su entrambe le guance un occhio di pernice stratosferico, che non era raro sulle (non troppo) modeste punzonature Ye Olde Wood ― lisce in finitura scura ―, ma che su questo esemplare è evocativamente barocco.

La pipa è in funzione ― dal dì che me la sono ritrovata tra le mani ― da molto poco, poiché si aveva la necessità di farla asciugare per bene dai vapori dell’alcool (alimentare…) con il quale ho passato gli interni, soprattutto cannello e foratura. Le sue dimensioni ― indicate con la stampigliatura EL ― la rendono, tenendo conto dello shape, una gruppo 3 abbondante in termini Dunhill, il che ne fa la misura a cui chi scrive è più affezionato. Sarebbe difficile descriverne la bontà, appena occultata e in via di emersione nel frattempo che i fantasmini (poca cosa…) delle passate fumate abbandonano la radica. Ed è proprio giunti a questo punto che si comincia a sorridere per davvero, ovvero quando la miscela al 50/50 di Golden Glow (SG) e Cimette (Mastro Tornabuoni) si apre come un fiore alle prime luci della primavera, quando il legno comincia a prendere ― distintamente e senza colpo ferire ― gli aromi che preferisco; quando insieme alla partenza dei vecchi spettri, fa la sua comparsa quel famoso spettro che si aggira ― e per giove non a torto! ― presso le paludi psicologiche degli appassionati di questi strumenti : quello della fama della superlativa bontà della radica air cured di una vecchia Barling.

stampigliature

Shell Briar

dunhill shell 3103

Si possono fumare molte pipe vivendo la soddisfazione di passarsi per le mani una varietà di strumenti da fumo godendo della diversità. Si può fumare, allo stesso tempo, anche una sola pipa godendo della peculiarità di trovarla sempre pronta e mai doma, raramente stanca, se non dopo un utilizzo ai limiti delle possibilità umane. Per un fumatore vorace, magari un po’ rozzo e che pesca dalla rastrelliera una pipa con cui fare parecchi chilometri, una delle scelte più felici sarà quella di essersi preso una Shell.

Parlare di Dunhill non è mai semplice. Sono convinto che in una Dunhill ogni fumatore che ne possiede, vede quel che vuole vedere. Ne ho già parlato, ma di Dunhill ne ho comprate e ne ho vendute. Nonostante tutto, voglio e devo ritornarci, perchè in fin dei conti in compagnia del marchio inglese in questione ho passato tra i momenti più belli del mio percorso nel mondo pipico. Una mezza certezza su queste pipe me la sono fatta, ovvero quella che nonostante la bellezza e l’eleganza di ogni singolo pezzo che esce dalla manifattura, una Dunhill, poco si adatta alla vita di salotto. Una Dunhill per esprimersi al meglio va fumata e rifumata, e nonostante le tante fumate a cui un fumatore può sottoporla, difficilmente risulterà tanto stanca da gettare la spugna.

Questo articolo è un elogio alla finitura Shell, le sabbiate scure di casa Dunhill. Una Shell è una pipa che permette il “fumare con il martello”, intendendo quella libertà di usarla come meglio si crede e quanto si crede. E’ una pipa robusta, costruita al top, la quale sotto la bellezza degli shapes non nasconde fronzolo alcuno. Una pipa aristocratica, è vero, ma soprattutto una vera pipa da battaglia, non in senso da poco, ma nel significato profondo di una pipa della quotidianità : si può fumare sempre e comunque e non farà mai un passo indietro. La resa è la stessa in tutte le finiture, ovviamente, ma la Shell unisce ad essa la versatilità di una pipa pratica. Le si farebbe torto nel trattarla con i guanti, basta quel poco di manutenzione generale a cui si sottoporrebbe una pipa qualsiasi, con il vantaggio che rende all’infinito, o quasi.

Di Shell ne avevo due, ora ne ho una, quella billiard 3103 con Army Mount in ebanite, comprata nuova. Una Prince dello stesso gruppo è andata via per il semplice fatto che non riuscivo a godermela. Per il sottoscritto quella billiard è “la mia Shell”. Bellissima, titanica nello svolgere il suo mestiere e praticissima. Una pipa lodevole, raffinata e robusta allo stesso tempo. Uno strumento dalle elevatissime potenzialità.

Una pipa a cui fanno affidamento, contemporaneamente, il gusto estetico e la voglia implacabile di gustare un buon tabacco sempre e comunque.

Ardor. Una pipa e molto di più.

Sono un fumatore di pipa che guarda all’essenziale. Questa prerogativa, credo, la si possa trovare in molti marchi che prendono posto all’interno della mia rastrelliera; Dunhill, Ashton, Volpe, Peterson ed altri mi hanno sempre soddisfatto. Da qualche tempo, tuttavia, sento la voglia di approcciarmi anche ad altro. Ho guardato e riguardato diverse pipe di marchi a me sconosciuti che avrei voluto fumare per farmene un’idea, nello specifico alcune italiane dalle quali sembravo inizialmente poco colpito, salvo poi sentirmene dannatamente attirato. Le famose, a ragione, Ardor erano e sono tutt’ora tra queste.

Ardor è un marchio storico della pipa italiana. Qualità della materia prima, sapienza artigianale di generazione in generazione ed estro creativo caratterizzano qualitativamente questa casata. Non serve un blogghetto di questo tipo per decantare le Ardor, a fare testo sono i fumatori che hanno avuto per le mani strumenti del genere nel corso degli anni. E’ stupendo vedere come questa casata si sia evoluta nel corso del tempo, sapendo carpire l’evoluzione della pipa a livello di design, materiali ed accostamenti cromatici senza rinunciare alle proprie tradizioni e alla propria originalità.

Come dicevo, ne volevo una. L’acquistai poco tempo fa, sul sito di Bollito. Generalmente di dimensioni generose, ne scovai una con design e dimensioni che sembra stata fatta su misura per me : una chimney semicurva, medio-piccola, in finitura Urano. Rusticata con bocchino in metacrilato. Un bellissimo rim liscio, che adoro sulle rusticate, la ciliegina sulla torta. La presi senza esitazione.

Da tempo non scrivo e soprattutto è da tempo che non scrivo di una pipa, nonostante il mio parco pipe sia mutato molto da quando iniziai a buttare giù le prime righe. Con questa Ardor, che mi ha ridato la luce dopo uno stop dovuto al grande caldo appena passato ( nel quale ho sostituito quasi del tutto la pipa con i sigari toscani…) voglio ricominciare a scrivere in maniera costante.

La Ardor in questione mi è giunta forse prima del grande caldo, se ben ricordo, ma è da quando ho incominciato a tornare alla pipa che mi accompagna praticamente sempre. E’ inutile scrivere della radica, non posso rappresentare la pura qualità attraverso le parole, come potrei fare? Potrei dire che è una radica superlativa, profumata, leggera e con una grande resa con il rischio di risultare a me e alla pipa stessa troppo riduttivo. Forse un poeta o un letterato potrebbero, ma non sono nessuno dei due. Sono un fumatore che si ritrova tra le mani l’ideale oggetto amato, a cui casa Ardor ha dato forma e materia magnificamente. Le linee pulitissime, quasi quelle austere del classicismo ma con quel tocco estroso caratteristico di queste pipe, bilanciatissima e confortevole. Bella da tenere in mano, con le irregolarità della rusticatura a sfiorare la pelle. Si lascia vivere anche solo nel tenerla in mano guardandola.

Se ne sta sempre a portata di mano, pronta per una fumata di meraviglia e stupore. Pronta a regalare all’anima del fumatore quella serena soddisfazione che lo eleva al di sopra della quotidiana umanità del vizio in cui vive. Non conosco Damiano Rovera né ho mai avuto il piacere di contattarlo, cosa che probabilmente farò con il trascorrere del tempo. Oggi, però, non posso fare a meno di ringraziarlo per aver appagato la sensazione di vivere una pipa e molto di più.

Dunhill, Lissitzky e la “geometrica potenza”

 

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Ho sempre ammirato il manifesto, fin dalla mia infanzia mi sono sempre fermato a rimirare quel foglio di carta, spesso sformato dalla troppa colla, appeso ai muri delle piazze del paese. Sono stato soventemente attirato dalla raffigurazione in molte delle sue forme, il più delle volte provando un senso profondo di ammirazione nei confronti delle piccole opere lasciate lì a farsi smembrare dalla pioggia e scolorire dal sole. Sfortunatamente, i manifesti che non troppo tempo fa reclamizzavano un luogo, un prodotto o semplicemente un’idea, sono stati soppiantati dalla superbia dell’attacchinaggio abusivo e politicante raffigurante grassi faccioni e colli sofferenti strizzati in camicie di pessimo gusto e oscuri abiti doppiopetto… se poi ci mettiamo le raccattavoti photoshoppate, si preferisce camminare guardando il selciato in sanpietrini.

L’interesse verso l’arte del manifesto, ad un certo punto si è trasformata in realizzazione. Da completo autodidatta ho incominciato a realizzarne qualcuno, così «per fare», per svago, per dare il via alla fantasia. A questo punto, mi si è aperto il mondo degli artisti del manifesto e della propaganda. I miei studi scientifici mi hanno permesso di avere, nonostante tutto, una buona cultura artistica che si è rivelata abbastanza utile nel carpire alcune questioni di fondo… Quantomeno nel saper riconoscere un certo stile nella realizzazione di qualsiasi cosa abbia una forma. Saper individuare dei punti e delle linee che ci fanno riconoscere, al di là del gusto personale, la canonica interpretazione di un concetto artistico… Almeno a questo le ore passate sul libro di Storia dell’Arte sono risultate proficue.

Se ad interessarci sono le forme geometriche, beh, direi che il primo pensiero va al costruttivismo ed in particolare ad un artista russo : El Lissitzky. Semplice, immediato e fortemente geometrico, egli fu uno dei maggiori rappresentanti dell’arte d’avanguardia russa, si occupò di propaganda, architettura, fotografia, pittura e grafica. Proprio quest’ultima, unita all’arte propagandistica, mi ha sempre lasciato di stucco nell’opera di questo artista.

«Spezza i bianchi col cuneo rosso» è probabilmente il manifesto propagandistico più semplice e al tempo stesso più ricco e profondo di tutti quelli su cui il mio sguardo ha avuto la fortuna di poggiarsi. Un cerchio ed un triangolo, uno bianco e l’altro rosso. Un messaggio sotto forma di essenza geometrica. Una rappresentazione semplice ed essenziale, dietro la quale si nasconde tutto quello che viene definito propaganda, ma anche tutto quello che può essere definito rigore geometrico e parimenti tutto quello che può essere definito artistico. Ma c’è la sostanza, l’intuitività, il pregio dell’utile. Questo manifesto è il simbolo dell’utilità, della semplicità fusa insieme all’estro artistico d’avanguardia nonchè della rigidità stilistica che è simbolo di ogni opera fortemente geometrica.

Ma cosa c’entra Sir Alfred Dunhill e le sue creazioni? Cosa c’entrano le Dunhill, queste pipe amate/odiate con tutto questo? Probabilmente niente, probabilmente tutto.

Dunhill è uno dei marchi di pipe più famosi, ma anche dei più discussi. C’è chi pensa che una Dunhill sia la migliore espressione dello stile classico nel mondo della pipa, chi pensa che una pipa Dunhill è da comprare per l’eccellenza della resa in fumata o per la sua instancabilità, chi per l’ottima fattura che questo marchio è capace di vantare dalla data della sua nascita. Altri di contro, pensano che costi troppo, che non è nulla di particolare, che si può fumare addirittura meglio spendendo meno. Nella mia piccola esperienza di fumatore di pipa mi sono sempre chiesto cosa fa di Dunhill non solo un pilastro di questo mondo, ma anche un enorme oggetto del contendere. E ora voglio provare a rispondere e a rispondermi sui dilemmi del White Spot.

Tanto per iniziare una Dunhill è una pipa, direi un’ottima pipa. E’ un oggetto dalla fattura curatissima, caratterizzato dai migliori materiali con cui probabilmente può essere realizzato. E’un marchio storico, e come tale va conosciuto e giudicato. Adesso, posso ricollegarmi al manifesto di Lissitzky sopra esposto, ovvero un’opera che ho definito semplice, essenziale, dietro la quale si nasconde tutta la sostanza di cui può essere capace un manifesto e tutto il rigore stilistico proprio dell’arte geometrica. Bene, una Dunhill è come il manifesto di Lissitzky : è una pipa semplice, funzionale, dietro la quale si nasconde tutta la sostanza di cui può essere capace una pipa e tutto il rigore stilistico del classico inglese.

Le pipe di Sir Alfred sono semplici, essenziali. Garantiscono delle fumate a livelli limite nel mondo della pipa, limiti oltre i quali è difficile spingersi. Rendono sul lungo periodo come forse nessun’altra può fare e sono realizzate con materiali di primissima qualità. Sono belle, potentemente geometriche, assolute nella loro semplice bellezza.

Sia che cerchiate una pipa che può essere fumata parecchio senza incorrere in stress da lungo periodo, sia che ne cerchiate una al fine di rimirarne la bellezza estetica, sia che ne cerchiate un’altra semplice e funzionale, una Dunhill è comunque una delle migliori scelte. Una spesa non da poco, ma che a posteriori si è contenti di aver fatto.

 

The Family Era

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La storia del marchio Charatan è un esempio di travaglio affrontato con onore : durante tutta la sua esistenza, che continua a gonfie vele tutt’oggi, è passato di proprietà in proprietà mantenendo per quasi tutto il suo arco temporale uno standard qualitativo ai massimi livelli. A grandi linee, questo storico marchio inglese ha vissuto svariate ere : si va dal periodo in cui fu di proprietà della famiglia Charatan ( Era Frederick 1863-1910 – Era Reuben 1910-1960), passando per le due ere in cui fu sotto il controllo della Lane ( 1961-1965) ( 1965- 1976), continuando per altre due ere, Dunhill, in seguito all’acquisto di Charatan da parte di quest’ultima (1977-1981) (1981-1987). Poi il periodo oscuro, ovvero la vendita di Dunhill del marchio a J.B.Russel, con conseguente delocalizzazione della produzione Charatan dall’Inghilterra alla Francia ( 1988-2000). Dal 2000 ad oggi, Charatan è tornata proprietà di Dunhill, che ha riportato la produzione in Inghilterra restituendole l’alta qualità del prodotto, dopo la brusca interruzione dovuta a J.B. Russel.

La pipa di cui parlo, risale molto probabilmente all’era Pre-Lane. A sua dimostrazione, fortunatamente, è possibile consultare un’ottima guida a questo link. Per farla breve, comunque, i requisiti da avere per essere datata Family Era sono questi :

  •  Grandezza della pipa fino ad una Dunhill gruppo 5.
  • Bocchino di tipo a sella o conico
  • Assenza del Double comfort
  • La CP è stampigliata sul bocchino in modo che la C entri nella P
  • Assenza della £ di Lane sul cannello della pipa (da notare che dal 1955 le pipe importate da Lane in USA riportavano la £, che non è necessariamente sinonimo di era Lane)
  • Assenza della lettera X sulla sigla dello shape della pipa, stampigliato sul cannello in radica della pipa stessa (ad es. 2502 e non 2502X)
  • Assenza delle lettere DC stampate di seguito al numero dello shape (ad. Es. 2502 e non 2502DC)
  • Assenza della scritta “MADE BY HAND” sul cannello (Introdotta per la prima volta nel 1958)
  • Presenza della scritta “CHARATAN’S MAKE – LONDON ENGLAND” su 2 righe
  • La CP ha una marcatura più fine rispetto alle ere successive.

La mia presenta tale dicitura sul cannello : “Charatan’s Make London England”. Più in basso, all’incirca sotto “England”, vi è la sigla dello shape : “11”. Non ha il famoso Double-Comfort ( introdotto proprio a seguito dell’acquisizione da parte della Lane), nè la X, ad indicarne il classico bocchino a sella. Non ha la famosa “L” di Lane, la quale non è significato assoluto nelle datazioni. Il CP, assottigliato dal disco durante la pulizia (il bocchino era pesantemente ingiallito), presenta la C che entra nella P. Al momento è rimasto marcato, ma privo del suo originario colore. La pipa non presenta altre scritte… Insomma, chi me l’ha venduta è stato onesto dichiarando l’era a cui appartiene questa bent, e io sono stato fortunato a prenderla.

Devo dire la verità : sono contento che questi tecnicismi volgono al termine. Per il sottoscritto la pipa è un qualcosa da vivere, un qualcosa che fa affidamento sulle emozioni. E su questo punto, nonostante il breve periodo passato dal giorno in cui ne sono entrato in possesso, questa pipa sembra accompagnarmi da molto di più.

Comincio con il dire che la trovo bellissima, che detto da uno che compra (quasi) sempre solo ciò che gli piace, rimarcarlo, è dire molto. E’ una bent classica. Dalle linee pulite, morbide. E’ una pipa dallo spiccato gusto vintage, con un fascino che sembra possa essere toccato. Ed in realtà è così… Racchiude in sè tutto un mondo che noi fumatori di pipa odierni, il più delle volte, possiamo solo immaginare. La testa sabbiata (e che sabbiatura!) e il cannello rusticato la rendono esteticamente irresistibile, così come la sua finitura, una tan molto scura, che vira al nero appena viene avvolta da una leggerissima ombra. Il fornello è abbondantemente capiente.

In fumata dimostra di essere una inglese a tutti gli effetti. Più “morbida”, se così si può dire, rispetto ad una Dunhill, differente da una Peterson ( rimanendo sulle nordiche), ma pur sempre una pipa la cui prerogativa si esprime nella resa in fumata sul lungo periodo. E di queste pipe, soprattutto inglesi, sto incominciando ad approfondirne la natura, ammirandone le performances.

In questa Charatan’s Make (ad essere precisi), ci ho fumato un po’ di tutto. Ho sperimentato: dalle EM ai Flake di Balkan, dal Mac Baren Navy Flake (ultimo innamoramento tabagico) ai naturali. E sempre il tabacco è stato un vero incanto. Esaltato e reso come se lo si odorasse nella tin….

Ma in fin dei conti, per me una curva fuma i naturali. Ed anche se a malincuore sono costretto a dirottarla su tabacchi che alla sua tradizione risultano meno ameni, so che non me ne vorrà. Prometto, comunque, di garantirle di tanto in tanto qualche incursione nelle English Mixtures…

(don’t) I wish I knew how… to break the spell

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In “Baby it’s cold outside” Bing Crosby cantava, insieme a Doris Day, “I wish I knew how… to break the spell.”  “Vorrei conoscere come… rompere l’incantesimo.” Il sottoscritto si è permesso di aggiungere una personalissima negazione al verso cantato, perchè di rompere l’incantesimo non ne vuole proprio sapere. La felicità in cui mi sto cullando da un periodo a questa parte, scaturisce da una piccola billiard dalle forme più longilinee e slanciate, uno shape elegantissimo ribattezzato Bing Crosby. La particolarità di questa, a cui dedico l’articolo, sta nel fatto di essere uscita dalle mani di Bruto Sordini, in arte Don Carlos, pipemaker del quale ammiro le opere da tempo.

Facendo un po’ il punto sullo stile di Bruto, le sue forme mi sono spesso sovvenute alla mente per la propria rigogliosità : la maggior parte delle pipe firmate Don Carlos che ho incontrato si distinguono proprio per l’abbondanza e l’estrosità delle forme. Penso che il Nostro sia la vera linea temporale che va dalla passata produzione pesarese a quella odierna nel suo profilo migliore : un mix di estrosità, genio creativo e classicismo. Come dicevo poc’anzi, le Don Carlos le ho sempre immaginate abbastanza abbondanti, opulente nel senso più nobile del termine. Questo fino a quando sul mio percorso pipico non ho incrociato lei, una Bing Crosby con la chiave di violino… fu un fulmine a ciel sereno che mi colpì rapido e forte. La presi senza battere ciglio. La pipa presenta una rusticatura tinta di nero : elegante ma con brio, sbarazzina nella sua eleganza e formalità. Classicissima con un tocco di vivacità. Ah, ma quant’è cosa dura alle volte, difendere questa finitura dalle più complesse sabbiate e lisce…

Le rusticate, quelle pipe che non volano mai alte nelle gradazioni, delle quali difficilmente si cantano le lodi della finitura eppure questa lavorazione che non mostra ammalianti bassorilievi, ipnotici occhi di pernice o fiamme vertiginose, ha una sua squisita natura artigianale : la pipa viene sgorbiata, a mano e punto per punto, con i più svariati mezzi. Spesso usando una specie di punteruolo a quattro punte, si incide la superficie della radica, et voilà, le jeux sont faits. L’idea che Bruto, o il suo mastro rusticatore, abbiano realizzato ogni piccola sgorbiatura con le loro sapienti mani, sull’ottima radica, incidendo la superficie di una pipa a me destinata mi fa impazzire, non fosse altro che per gratitudine. Ed infatti, sulla radica del Maestro Sordini, c’è poco da aggiungere. In un’intervista rilasciata a Gusto Tabacco riguardo la stagionatura della radica e dell’utilità del rodaggio, ha detto : “A chi compra le mie pipe dico proprio : il rodaggio non lo fate”, alludendo all’ottima qualità e stagionatura della radica che lavora. Ma c’è di più della troppo spesso ignorata finitura e dell’alta qualità del legno : ci sono la mano, la mente, i dettagli. La pipa è realizzata con una precisione delle linee stupefacente, interpretando uno shape come meglio non si potrebbe. Il bocchino in metacrilato non ha neanche lontanamente alcunchè di “plasticoso”. E’ di una solidità rasserenante, tagliato molto bene e arricchito con la chiave di violino a simbolo che è pazzescamente bella, un dettaglio finissimo. A completare il tutto una vera in argento molto fine, che dona eleganza là dove in partenza non mancava di certo, ma che comunque ne esalta il carattere. Rimirandola e fumandola, gentile nella mano, non posso che provare gioia e ammirazione. La radica dopo le prime tre o quattro fumate ha cominciato a cantare, il che si traduce in momenti indimenticabili. Con le EM ed in special modo con l’Early Morning  questa pipa è capace di portare nell’Olimpo della sensazione il sottoscritto, farlo volare davvero sulle note di una qualche canzone….

Gia, perchè credo che il Maestro mentre era all’opera non abbia messo su un disco di musica classica. In questa pipa non c’è la rigidità teutonica di un Wagner, la teatralità di Puccini o il classicismo di Beethoven : vi è quell’insieme musicale degli States a cavallo tra i ’30 e i ’50, quello stile elegante ma vivace, classico ma sbarazzino fatto di canzoni passionali ed energici balli. E quella pipa, che ad immaginarsela, sarebbe stata giusta in situazioni in cui era richiesta una certa eleganza, ma altrettanto giusta se con una giacca e un borsalino – magari con un biglietto del treno nella fascia- si ascoltava in un piccolo locale un’orchestrina Jazz a colpi di Gin. Oh New York, New York… Sta in questo l’essenza e l’anima di questa pipa, e il Maestro l’ha interpretata grandiosamente, ripescando nel tempo l’incantesimo di un’America che per certi versi non c’è più.

Le belle pipe di una volta…

 

 

Mastro de Paja Saxopone
La mia Mastro de Paja Saxophone del’79

C’era un tempo in cui le pipe venivano realizzate con una maestrìa impressionante, anni in cui la ricerca particolare dello stile era eretta a “condicio sine qua non” nella lavorazione del ciocco, tempi nei quali la pipa viveva una stagione di rinascita stilistica grazie alle menti e alle mani di sapienti artigiani. La storia di questa pipa si colloca nel periodo che va dagli anni settanta in poi, ma non troppo lontano dal decennio che in fatto di artigianato è stato determinante per lo stile pipico italiano.

Siamo nella Pesaro dei ’70. Fino ad allora le pipe si realizzavano nel nord Italia, precisamente in quel territorio lombardo che aveva dato i natali a due grandi leaders della pipa italiana, dalle realizzazioni tanto diverse quanto affascinanti, dai design evoluti e personali, dalle lavorazioni opposte e non assimilabili… dal grande impatto stilistico e riconoscibile tra i tanti : Castello e Savinelli. E due rispettivi archetipi : Sea Rock per Castello e Punto Oro per Savinelli. A livello di immaginario, per il sottoscritto, la pipa italiana in quanto ad ardite realizzazioni ha avuto la sua struttura poggiata su queste due colonne. Questo fino al 1972, quando un trio di artigiani pesaresi decise di sfidare lo strapotere lombardo… e se si domanda Pesaro il riflesso condizionato della risposta non sarà altro che :  “Mastro de Paja!”. La Mastro de Paja fu fondata sulla passione di tre amici : il grande Giancarlo Guidi, Giannino Spadoni e Alberto Montini, da me scherzosamente ribattezzati la banda del pesarese. Eh si, perchè nell’Italia di quei tempi realizzare le pipe al di fuori di una certa area geografica fu senz’altro un qualcosa di rivoluzionario e di sicuro il sognatore non può esimersi dal guardare a questo con il romanticismo che evocano le grandi imprese.

Ma che cos’è una Mastro de Paja? In cosa si differenzia dalle pipe del tempo? Posso dire che di certo Mastro de Paja ha rivoluzionato il concetto di pipa, ne ha dato una interpretazione fortemente personale, nonchè ha inciso il suo stile caratterizzando un intero periodo : quello delle pipe italiane che facevano dell’opulenza stilistica la propria particolarità. La pipa adatta all’esteta, dalle forme e dalle dimensioni rigogliose : un nuovo modo, affiancato al classicismo, di intendere un concetto. E l’opulenza viene sfacciatamente esibita. Qualora Savinelli marchiava le sue top con un puntino in oro ( chiaramente richiamato all’eccellenza della pipa industriale inglese, Dunhill) e Castello con una sobria ed elegante barretta bianca, le fiorenti pesaresi erano marchiate con un grande puntone in argento. Qualora Achille Savinelli scriveva una delle più belle pagine di design industriale italiano e Castello realizzava una delle più innovative finiture ( Sea Rock, ispirata all’effetto corrosivo del mare sugli scogli), alla Mastro de Paja riscrivevano totalmente le caratteristiche dimensionali e geometriche della pipa, dando vita ad una vera e propria scuola, la pesarese. La pipa italiana si arricchì di una nuova colonna portante caratterizzata dal vanto della completa artigianalità del prodotto.

Ero da tempo alla ricerca di una Mastro de Paja del periodo, una di quelle che potesse sintetizzare al meglio la summa delle variazioni e del design pesarese, ma che soprattutto non avrebbe dovuto essere posteriore agli anni settanta. E l’ho trovata scavando nel catalogo del rodato della tabaccheria Sansone di Roma. In maniera molto perfezionista il tutto doveva quadrare. Periodo, forme e dimensioni. Per questo ho chiesto agli espertissimi e gentilissimi proprietari del negozio di inviarmi delle foto della pipa in mano, in modo tale da rendermi conto delle dimensioni. Doveva essere la pipa dell’esteta, dall’opulenza elegante ed esibita e dal design avant-garde. Era proprio lei! La pesarese dei miei sogni…

La vedete nella foto di sopra, una Saxophone del ’79. Dalle forme sinuose, eleganti e che non mancano di una certa aerodinamicità, dopo tutto. Sabbiata come non se ne sabbiano più : alla vista e al tatto della sabbiatura sono rimasto di stucco. Una pipa totalmente realizzata a mano e curata nei piccoli dettagli. Dalla stratosferica finitura, dall’accoppiamento cannello-bocchino dalle linee che dire eleganti è poco, dalla vera in argento che completa il tutto… ma soprattutto dalla forma e dalle proporzioni che lasciano senza fiato, come la profondità e il diametro del fornello oppure l’ottimo metacrilato tagliato a mano, con il sole stilizzato che è di un fascino agghiacciante.

Una Mastro de Paja che sta a testimoniare un malinconico fascino che è difficile definire, quello delle belle pipe di una volta….

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Dettaglio della sabbiatura

NB. Le foto sono quelle della Tabaccheria Sansone della pipa a me venduta : non si poteva fare di meglio….

Peterson System DeLuxe 12.5

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La mia Peterson System Deluxe 12.5

La bellezza non è un qualcosa di univoco. Bello è ciò che attrae, è la capacità di catturare il nostro sguardo, è il saper toccare le corde giuste delle nostre emozioni, lasciare in estasi. Questa una definizione generale. Ovviamente tutti siamo propensi alla bellezza seconda la nostra persona, a quella idealizzazione di ciò che a noi piace fortemente, alla forza di attrazione che si fa desiderio.

In fatto di pipe, per il sottoscritto, la bellezza porta spesso il marchio della nota casa dublinese Peterson. Il desiderio anche. Da tempo rimanevo estasiato dalla serie System DeLuxe, la gamma alta delle famose System, pipa che presenta un “pozzetto” che assicura una fumata fresca raccogliendo l’acquerugiola al di sotto del foro di uscita del fumo. Come dicevo, la DeLuxe rappresenta la gamma alta : radica naturale priva di imperfezioni e di maggiore qualità, vera in argento e classico bocchino palatale in ebanite che da sempre contraddistingue il marchio Peterson. Il modello da me scelto di questa serie è la piccola 12.5, circa un centimetro di differenza in altezza dalle sorelle maggiori, scovata sul sito della tabaccheria Sansone di Roma e acquistata immediatamente.

Perchè mi sono orientato su questa piccola opera d’arte? Da tempo cercavo una pipa dalle dimensione leggermente più piccole delle solite, ma che fosse al tempo stesso qualcosa di “importante” e di diverso… e possibilmente dall’ottimo rapporto qualità prezzo. Idealmente : una bella radica, una pipa bilanciata e comoda, preferibilmente Peterson in quanto marchio la cui conoscenza sono interessato ad approfondire. Inoltre scegliendo il marchio irlandese ne avrei riscontrato delle qualità di cui sono a conoscenza, possedendone altre tre di diverse serie. La 12.5 è bellissima, la radica è stupenda e la classica forma System DeLuxe è un piacere agli occhi e al tatto, ma soprattutto è formidabilmente comoda da tenere tra i denti.

Il classicismo di casa di Peterson si fonde con l’avanguardia estetica. Non è una semplice curva, una semplice bent. Questa famiglia di pipe ha rappresentato nel corso della storia, a mio parere, qualcosa di tecnologico, di molto evoluto non solo a livello di funzionalità e di freschezza della fumata, ma anche in fatto di estetica. Osservandola e desiderandola nel corso del tempo, ho sempre immaginato cosa si celasse all’interno di essa, quale astuto e innovativo sistema rappresentasse il famigerato “pozzetto” che guardavo sugli schemi reperibili in internet. Avendola tra le mani e smontandola, la bellissima visione della “spina” svitabile dal bocchino mi ha letteralmente incantato. Mi sono sentito un po’ come un bambino che guarda pieno di stupore il pollice tirato via dal resto della mano in quello stupido giochetto illusorio. Stregato dalla semplicità e allo stesso tempo dal contrario di essa, dalla bellezza sublime dell’idea realizzata, del progetto riuscito, della capacità di realizzazione. Le System sono pipe fantastiche e la DeLuxe ne è la migliore espressione.

Ma sulla 12.5 c’è di più. Ha un fascino tutto suo, donato forse dalle dimensioni leggermente minute, ma non troppo. Mi viene in mente qualcosa di un’altra epoca, qualcosa di estremamente grazioso e affascinante. Una personalità ammaliante, sensualmente e dannatamente attraente, tanto seducente quanto graziosa… mi balena in mente Zelda Fitzgerald! Rivedo in essa la trasfigurazione della bella donna che ha accompagnato la vita del grande scrittore Francis Scott. Probabilmente, senza aver nulla che a che vedere con il gratuito, è definibile solo attraverso questa immagine trasfigurata. E ho detto tutto… la Zelda Fitzgerald delle pipe.

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Zelda Fitzgerald, donna dal fascino unico

Qui le misure : Lunghezza 125 mm, altezza 41mm, diametro ext. 34mm, foro 17mm, profondità foro 33mm, peso 42 gr.

AGGIORNAMENTO, 12/02/2016 : sul forum La Compagnia del Tabacco, il buon Kinski di Segnali di Fumo mi fa notare che la 12.5 in versione natural, pipa che abbiamo in comune, è stata introdotta in Italia per sbaglio. A quanto pare per un errore di casa Peterson, infatti nel nostro paese le uniche disponibili sono in finitura brown. Che dire, sicuramente baciato dalla dea bendata…