Peccati rustici

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Il peccato che si consuma in una Castello “Castello” KK …

«Il piacere è peccato e il peccato è un piacere»

Byron

Per quanto fumare il toscano nel fornello della pipa possa apparire come una pratica «barbara», in special modo quando si hanno a disposizione prodotti di eccellenza come il «Mastro Tornabuoni Long» nella foto, o quel che che ne resta di una delizia dal ripieno long filler che a parere di chi scrive è una sorta di materializzazione in materia di sigaro toscano di ciò che il vecchio Platone attribuiva presente nell’Iperuranio, e per quanto la complessità degli aromi viene fatalmente disfatta con l’operazione — questa si un poco «mongola»— dello sbriciolamento a mano, chi scrive — forse come lo era per il vecchio Attila il desiderio flagellatore — è un qualcosa che trova irresistibile. Se colui che legge — veneratore della sacralità del bitroncoconico — dovesse trovare tale pratica pregna dell’atmosfera che è possibile immaginare durante la caduta di Aquileia e giungesse ad accusare tale operazione di flagellum Dei, e tutti coloro che la praticano dei mezzi cannibali, potrebbe trovare senza dubbio da parte di chi scrive umana comprensione. Se della pipa e del suo fumare il sottoscritto ne ha fatto umilmente materia di cui scrivere, ragionare, sperimentare quel poco che gli è spiritualmente concesso — che in fin dei conti in tema di usi pipici è piuttosto reazionario, almeno quanto un Kaiser a vostra scelta… — del toscano «developed in CTS» ne ha fatto da lungo tempo un piacere quotidiano, o quasi. Abbandonarsi ad un intero Long — del resto più che ottimo anche ammezzato rappresenta nelle fumate di chi scrive un piacere unico, luminoso quanto poteva esserlo una danza dionisica, benché disfarsi delle sirene della barbarie di cui appena sopra — non tutti hanno la fortuna di scongiurare il pericolo facendosi legare da qualche parte — gli rimane operazione piuttosto complicata. Se piace il Kentucky italiano nella pipa, se le cimette anch’esse prodotte in casa CTS sono riuscite nell’intento di smuovere qualcosa nella coscienza di colui che fuma, se i rustici piaceri di una fumata scomposta e spigolosa giungono ad essere percepiti come tali, allora difficilmente si troverà la forza di resistere alla tentazione di radere al suolo il sacro monumento. Con tutto quello che di buono è possibile trovare, persino nell’italica valle di lacrime del commercio di tabacco da pipa, e con dei toscani tanto buoni quanto fedeli alla memoria ancestrale di questo genere di sigaro, perché ridursi a commettere sacrilegio, che anche in compagnia del buon Ramazzotti comunque si rischia di ritrovarsi sul banco degli imputati? Se ne potrebbe, oggigiorno, fare volentieri a meno? Probabilmente si. Ma alcuni hanno la testa dura. Oppure sono deboli di spirito, poveri peccatori che non resistono alle gioie di assaporare il vizio nelle mille sfumature con le quali tenta l’animo umano, con la mezza certezza di ritrovarsi sotto la pioggia infernale alla stregua di Ciacco : chi scrive, probabilmente, potrebbe ritrovarsi con la groppa bagnata e magari anche calpestato da qualche padre delle future patrie, ammesso che ve ne saranno. Eppure, coscientemente, quella piccola delizia che — strutturalmente parlando — fa del non avere né capo né coda la materializzazione tabagica del gusto della trasgressione e dell’empietà del sacrilegio, mi risulta irrinunciabile. Tante volte, animato da propositi virtuosi, mettendo mano alle scatole da due del Long mi sono ripromesso di non cadere in tentazione, di cercare di non brutalizzarne almeno una, di non sbriciolare nemmeno un «ammezzato», di scacciare i cattivi pensieri prima di dover ricorrere al cilicio o ad una moderna imitazione del Flagrum romano : ma niente. E prima di dovermi vedere costretto a rimediare un qualche arnese del genere, con un raggiro da sofista, mi sono detto che in fin dei conti la carne è carne, e va bene così. Cosa c’è di tanto delizioso in un «Mastro Tornabuoni» qualsiasi fumato nella pipa? Probabilmente il tabacco così com’è. Niente di più e niente di meno : buon Kentucky da utilizzare nella pipa. Non è un’operazione giustificabile come quando si miscela con il Virginia, non è per nulla pregno di quella complessità natìa di quando fu fatto sigaro, ma è buono in modo diverso. È buono perché — l’amante del genere — vi troverà un gusto talmente prorompente quanto estremamente appagante nonché privo di ogni carezza rasserenante, come la foga di un fiume in piena che si naviga per il piacere pericoloso di farlo, pari all’apertura della via più impervia e claustrofobica per raggiungere la vetta di un monte. Una sorta di «Monte Analogo» del Kentucky italiano in generale, un tipo di tentativo per liberarsi dalla angustia concettuale che il tabacco da pipa si mette nella pipa e il sigaro si fuma tale quale, un tentativo di spezzare l’ordinario. Vi si può ragionare come il sottoscritto e fumarlo coscienti che si è sacrificato sull’altare della golosità tabagica il senso del fumare il toscano, lo si può fumare per il piacere sadico di sentirselo rompere tra le mani, scricchiolando. Lo si può fumare perché è giunto il caldo dell’inferno, perché sono finite le cimette e in paese non le vendono — a differenza dei sigari —, per avere il gusto di celebrare Ramazzotti, magari con libro alla mano. Le motivazioni non mancano, e dopotutto, qualche giustificazione viene anche da sè.