Balkan Mixture, o della via ritrovata

blog balkan mixture

Ai tempi in cui iniziai a fumare nella pipa, le english mixtures erano pane quotidiano : mi dilettavo con l’Early Morning o con il My Mixture, poi passai allo Squadron Leader di Samuel Gawith, che in fin dei conti rimane una delle mie preferite della suddetta tipologia. Da fumatore di english mixture — tanto per utilizzare un «parolone» — il profumo incensato del Latakia mi divenne quasi insopportabile : sono propenso a pensare che tale «fastidio» non sia stato dovuto tanto al Latakia di per sé, quanto all’impronta lasciata da sapori nettamente rustici, di cui ho largamente parlato e ai quali continuerò a dedicare del tempo. Con il tempo, nonostante estemporanei feeling piuttosto intensi e non privi di senso con prodotti annoveranti in termini pressoché insoliti il Latakia (SG Bothy Flake, per fare un esempio…) la piccola foglia di Laodicea ha smesso di profumare dal fornello delle pipe del sottoscritto. Alcuni Pease mi hanno riavvicinato, seppur con una rimarchevole cautela, alle miscele «incensate», ma se a qualcuno va riconosciuto il merito di aver riportato su «La Pipa Parlante» l’argomento Latakia coscientemente trattato, questo lo si deve alla fenomenale Gawith&Hoggarth, a cui non è possibile non tributare una profonda gratitudine in termini di serietà e qualità. Che gli strong di casa G&H facilmente reperibili sul territorio nazionale — Dark Flake e Dark Bird’s Eye — siano ben saldi sulla vetta olimpica delle personalissime preferenze di chi scrive, il Balkan Mixture si sta ritagliando uno spazio tanto solido quanto destinato ad allargarsi. Tutto questo discorso è paradossale. Si va verso il caldo, e per il sottoscritto il clima di giugno è già torrido : d’estate fumare il Latakia mi è sempre stato arduo, una vera e propria fatica di Ercole. In secondo luogo, l’interpretazione Balkan di Gawith&Hoggarth ne è equipaggiata «quanto basta», di Latakia, e qui l’antitesi con quanto fumato piacevolmente sino ad oggi è grossa quanto il K2, anche se la facilità con la quale «si discendono» le pareti del fornello in cui ho appena terminato di gustarlo, quello della Dunhill Cumberland gr.3 che si vede in foto, aggiunge altri interrogativi a quello che è già di per sé l’interrogativo centrale : “ come la mettiamo con questo benedetto Latakia? ”.

Ebbene, non saprei dire con certezza a riguardo. C’è da dire che la miscela Balkan di Gawith&Hoggarth rispetto ad altre miscele inglesi più o meno rinforzate sul versante Latakia, dello stesso, ne fa un utilizzo equilibrato, ben calcolato (se non erro non credo che vi siano dichiarazioni circa le percentuali) e comunque capace di restituire un equilibrio ricco, grasso, senza sconfinare in una fumata che si definirebbe barocca. Probabilmente non è il paragone migliore che si potrebbe fare, ma prendendo il Balkan Flake dei noti cugini Samuel Gawith — che indubbiamente il taglio gioca un ruolo di non poco conto — in tal caso, si sconfina in una ricchezza senza misura, in uno sfarzo eccessivo, in un’ampollosità dei sapori, degli aromi e in particolare del Latakia che rende difficile immaginare di poterne fare un utilizzo disinvolto, pratico, ammesso che il fumare nella pipa non sia solo un momento speciale nell’arco della giornata, quanto piuttosto un modo di fumare tout-court — tempo a disposizione permettendo —, che concepisce l’utilizzo della pipa in primis come strumento, poi come puro «momento». Già il Westminster del buon Pease aveva riportato nella giornata pipica del sottoscritto un utilizzo pacato delle miscele inglesi, ma un utilizzo quasi quotidiano, nel senso che dopo aver terminato il primo fornello, nel corso della giornata, ci si sarebbe ritrovati con la voglia di rimettere nuovamente mano alla miscela precedentemente gustata. Con il Balkan G&H le fumate stanno scorrendo, tengo il Bormioli a portata di mano, qualche pipa comincia ad essergli consacrata, come se nella mente, ormai, la lovat gruppo 3 sopra ritratta incominci ad essere associata alla miscela in questione e al Latakia in generale, «problema» che fino ad oggi non mi si era mai presentato tanto urgente, considerato che i sapori a cui sono solito tendono poco o nulla a lasciare la propria impronta nella pipa. In fin dei conti, anche la nota Lakeland scent del Dark Flake mi risulta piuttosto gradita e non compromettente, con un fornello di Cimette, che comunque sia aiuta non poco a «ripulire», dopo qualche fumata. Con sorpresa, mi sono ritrovato a dedicare una pipa esclusivamente al Latakia, novità che mi affascina, e che mi fa guardare quell’ottima Dunhill, ottima come può essere una pipa «dell’alta nobiltà», ricongiunta alle miscele che, probabilmente, ne esaltano in maniera sublime tanto le qualità che le possibilità, andando a comporre un binomio perfetto, sia nella pratica che nell’immaginazione e nella fantasia.

Come dicevo sopra, il Balkan è una miscela quasi perfetta senza essere tracotante, senza fare sfoggio di chissà quale protervia. Se dello Squadron Leader apprezzo la componente importante del Virginia, che lo rende docile rispetto a miscele più abbondanti in termini di Latakia, e se del Westminster di Pease apprezzo l’american spirit con cui viene accostato il concetto di english mixture, concordando con il lettore che mi faceva notare a proposito — e a ragione — l’alta qualità del Latakia impiegato, ma soprattutto l’eclettismo di quel red Virginia che solo a vederlo fa pensare alle praterie del Nuovo Mondo, la Balkan Gawith&Hoggarth presenta, a mio dire, una proporzione quasi perfetta degli ingredienti. Una Balkan che non è ferocemente affumicata, una miscela «all’inglese» che non ha dentro quel Latakia «appassito», che lascia un gusto smorto di affumicatura dozzinale e niente più, ma restituisce un sapore di affumicatura, di incenso, così come può immaginarlo la mente, così come ce lo si aspetterebbe, così come lo si percepisce all’apertura della tin : la foglia di Laodicea così come viene descritta, e come tale risulta essere. Il resto, ovvero Virginia, Turchi e Orientali lega benissimo e restituiscono al palato il gusto di una miscela ricca, grassa, opulenta — ma il giusto — così come la forza, che in fin dei conti è sopra una mild classicamente intesa, e lambisce i confine delle terre medie. Sono certo che in questo ultimo periodo, con la «recensione» del Westminster, e con le esplorazioni fatte in terre «balcaniche» si apra un nuovo capitolo dell’irrisolta questione Latakia. Certamente fumerò con meno diffidenza, con una maggiore predisposizione all’ascolto e senza essere prevenuto nei confronti di un’aroma che, nel proprio rifiuto, annovera presumibilmente delle componenti anche psicologiche, legate ai ricordi di vecchie fumate poco soddisfacenti e troppo noiose. Il tempo muta i gusti, forse il sottoscritto non muterà completamente in un amante delle english mixture o delle rafforzate balkan, ma se l’idillio dura — e il sospetto non è infondato —, continuerà a fumarle, senza esagerare, ma anche lontano da qualsivoglia ideologica moderazione. Sapendo come goderne, come in questa giornata in cui scrivo, contesa dal sole e dalle nuvole, guardando dal terrazzo le rondini che si librano in volo, sfrecciando ed esibendosi in mille evoluzioni, per poi tornare e nutrire la progenie che attende…

Shell Briar

dunhill shell 3103

Si possono fumare molte pipe vivendo la soddisfazione di passarsi per le mani una varietà di strumenti da fumo godendo della diversità. Si può fumare, allo stesso tempo, anche una sola pipa godendo della peculiarità di trovarla sempre pronta e mai doma, raramente stanca, se non dopo un utilizzo ai limiti delle possibilità umane. Per un fumatore vorace, magari un po’ rozzo e che pesca dalla rastrelliera una pipa con cui fare parecchi chilometri, una delle scelte più felici sarà quella di essersi preso una Shell.

Parlare di Dunhill non è mai semplice. Sono convinto che in una Dunhill ogni fumatore che ne possiede, vede quel che vuole vedere. Ne ho già parlato, ma di Dunhill ne ho comprate e ne ho vendute. Nonostante tutto, voglio e devo ritornarci, perchè in fin dei conti in compagnia del marchio inglese in questione ho passato tra i momenti più belli del mio percorso nel mondo pipico. Una mezza certezza su queste pipe me la sono fatta, ovvero quella che nonostante la bellezza e l’eleganza di ogni singolo pezzo che esce dalla manifattura, una Dunhill, poco si adatta alla vita di salotto. Una Dunhill per esprimersi al meglio va fumata e rifumata, e nonostante le tante fumate a cui un fumatore può sottoporla, difficilmente risulterà tanto stanca da gettare la spugna.

Questo articolo è un elogio alla finitura Shell, le sabbiate scure di casa Dunhill. Una Shell è una pipa che permette il “fumare con il martello”, intendendo quella libertà di usarla come meglio si crede e quanto si crede. E’ una pipa robusta, costruita al top, la quale sotto la bellezza degli shapes non nasconde fronzolo alcuno. Una pipa aristocratica, è vero, ma soprattutto una vera pipa da battaglia, non in senso da poco, ma nel significato profondo di una pipa della quotidianità : si può fumare sempre e comunque e non farà mai un passo indietro. La resa è la stessa in tutte le finiture, ovviamente, ma la Shell unisce ad essa la versatilità di una pipa pratica. Le si farebbe torto nel trattarla con i guanti, basta quel poco di manutenzione generale a cui si sottoporrebbe una pipa qualsiasi, con il vantaggio che rende all’infinito, o quasi.

Di Shell ne avevo due, ora ne ho una, quella billiard 3103 con Army Mount in ebanite, comprata nuova. Una Prince dello stesso gruppo è andata via per il semplice fatto che non riuscivo a godermela. Per il sottoscritto quella billiard è “la mia Shell”. Bellissima, titanica nello svolgere il suo mestiere e praticissima. Una pipa lodevole, raffinata e robusta allo stesso tempo. Uno strumento dalle elevatissime potenzialità.

Una pipa a cui fanno affidamento, contemporaneamente, il gusto estetico e la voglia implacabile di gustare un buon tabacco sempre e comunque.

Dunhill, Lissitzky e la “geometrica potenza”

 

root2def

Ho sempre ammirato il manifesto, fin dalla mia infanzia mi sono sempre fermato a rimirare quel foglio di carta, spesso sformato dalla troppa colla, appeso ai muri delle piazze del paese. Sono stato soventemente attirato dalla raffigurazione in molte delle sue forme, il più delle volte provando un senso profondo di ammirazione nei confronti delle piccole opere lasciate lì a farsi smembrare dalla pioggia e scolorire dal sole. Sfortunatamente, i manifesti che non troppo tempo fa reclamizzavano un luogo, un prodotto o semplicemente un’idea, sono stati soppiantati dalla superbia dell’attacchinaggio abusivo e politicante raffigurante grassi faccioni e colli sofferenti strizzati in camicie di pessimo gusto e oscuri abiti doppiopetto… se poi ci mettiamo le raccattavoti photoshoppate, si preferisce camminare guardando il selciato in sanpietrini.

L’interesse verso l’arte del manifesto, ad un certo punto si è trasformata in realizzazione. Da completo autodidatta ho incominciato a realizzarne qualcuno, così «per fare», per svago, per dare il via alla fantasia. A questo punto, mi si è aperto il mondo degli artisti del manifesto e della propaganda. I miei studi scientifici mi hanno permesso di avere, nonostante tutto, una buona cultura artistica che si è rivelata abbastanza utile nel carpire alcune questioni di fondo… Quantomeno nel saper riconoscere un certo stile nella realizzazione di qualsiasi cosa abbia una forma. Saper individuare dei punti e delle linee che ci fanno riconoscere, al di là del gusto personale, la canonica interpretazione di un concetto artistico… Almeno a questo le ore passate sul libro di Storia dell’Arte sono risultate proficue.

Se ad interessarci sono le forme geometriche, beh, direi che il primo pensiero va al costruttivismo ed in particolare ad un artista russo : El Lissitzky. Semplice, immediato e fortemente geometrico, egli fu uno dei maggiori rappresentanti dell’arte d’avanguardia russa, si occupò di propaganda, architettura, fotografia, pittura e grafica. Proprio quest’ultima, unita all’arte propagandistica, mi ha sempre lasciato di stucco nell’opera di questo artista.

«Spezza i bianchi col cuneo rosso» è probabilmente il manifesto propagandistico più semplice e al tempo stesso più ricco e profondo di tutti quelli su cui il mio sguardo ha avuto la fortuna di poggiarsi. Un cerchio ed un triangolo, uno bianco e l’altro rosso. Un messaggio sotto forma di essenza geometrica. Una rappresentazione semplice ed essenziale, dietro la quale si nasconde tutto quello che viene definito propaganda, ma anche tutto quello che può essere definito rigore geometrico e parimenti tutto quello che può essere definito artistico. Ma c’è la sostanza, l’intuitività, il pregio dell’utile. Questo manifesto è il simbolo dell’utilità, della semplicità fusa insieme all’estro artistico d’avanguardia nonchè della rigidità stilistica che è simbolo di ogni opera fortemente geometrica.

Ma cosa c’entra Sir Alfred Dunhill e le sue creazioni? Cosa c’entrano le Dunhill, queste pipe amate/odiate con tutto questo? Probabilmente niente, probabilmente tutto.

Dunhill è uno dei marchi di pipe più famosi, ma anche dei più discussi. C’è chi pensa che una Dunhill sia la migliore espressione dello stile classico nel mondo della pipa, chi pensa che una pipa Dunhill è da comprare per l’eccellenza della resa in fumata o per la sua instancabilità, chi per l’ottima fattura che questo marchio è capace di vantare dalla data della sua nascita. Altri di contro, pensano che costi troppo, che non è nulla di particolare, che si può fumare addirittura meglio spendendo meno. Nella mia piccola esperienza di fumatore di pipa mi sono sempre chiesto cosa fa di Dunhill non solo un pilastro di questo mondo, ma anche un enorme oggetto del contendere. E ora voglio provare a rispondere e a rispondermi sui dilemmi del White Spot.

Tanto per iniziare una Dunhill è una pipa, direi un’ottima pipa. E’ un oggetto dalla fattura curatissima, caratterizzato dai migliori materiali con cui probabilmente può essere realizzato. E’un marchio storico, e come tale va conosciuto e giudicato. Adesso, posso ricollegarmi al manifesto di Lissitzky sopra esposto, ovvero un’opera che ho definito semplice, essenziale, dietro la quale si nasconde tutta la sostanza di cui può essere capace un manifesto e tutto il rigore stilistico proprio dell’arte geometrica. Bene, una Dunhill è come il manifesto di Lissitzky : è una pipa semplice, funzionale, dietro la quale si nasconde tutta la sostanza di cui può essere capace una pipa e tutto il rigore stilistico del classico inglese.

Le pipe di Sir Alfred sono semplici, essenziali. Garantiscono delle fumate a livelli limite nel mondo della pipa, limiti oltre i quali è difficile spingersi. Rendono sul lungo periodo come forse nessun’altra può fare e sono realizzate con materiali di primissima qualità. Sono belle, potentemente geometriche, assolute nella loro semplice bellezza.

Sia che cerchiate una pipa che può essere fumata parecchio senza incorrere in stress da lungo periodo, sia che ne cerchiate una al fine di rimirarne la bellezza estetica, sia che ne cerchiate un’altra semplice e funzionale, una Dunhill è comunque una delle migliori scelte. Una spesa non da poco, ma che a posteriori si è contenti di aver fatto.